Evoluzione del linguaggio Professionale: Cosa implica? Tra termini tecnici e inglesismi il linguaggio finanziario e quello bancario introducono nuove attività quali le “inadempienze probabili”
L’obiettivo di chi studia la lingua del Paese è quello di raccogliere le parole del passato e del presente, come un notaio che registra l’evoluzione del linguaggio comune e professionale nel corso degli anni, senza darne giudizi.
La variabile fondamentale per studiare le parole e favorirne l’accesso nel vocabolario degli italiani è il periodo di presenza nel tempo di una parola, dalla diffusione accertata della stessa e da quanto si crede che l’espressione possa diventare influente e persistente nell’uso quotidiano del linguaggio.
Nel vocabolario Zingarelli dell’edizione 2023 entreranno a far parte 1000 nuove parole quali “boomer” e “millennial” ma anche diverse espressioni legate alle tematiche ambientali, da “transizione ecologica” a “greenwashing”.
Parole nuove legate alla vita politica del Paese – come “tangentopoli”, “inciucio” o “buonismo” – e tantissimi nuovi vocaboli presi in prestito dall’inglese per descrivere le mutate condizioni della società e della comunicazione: da “coming out” a “smartphone” e “selfie”. Poi ci sono le espressioni inglesi che usiamo quotidianamente ma che ancora non rientrano nel vocabolario italiano, come il “know how” recentemente sdoganato dalla Crusca.
Evoluzione del linguaggio Professionale e anglicismi: Gli inglesismi sono ormai inscindibili dall’uso comune della lingua, ma non c’è di che preoccuparsi: “In tutto il vocabolario gli anglismi saranno intorno al 3%”, spiega in un’intervista Mario Cannella, lessicografo che dal 1993 cura l’aggiornamento annuale del dizionario edito da Zanichelli.
Inglesismi che caratterizzano prevalentemente il mondo del lavoro, dal settore marketing a quello finanziario. Chi si occupa di controllo di gestione mastica quotidianamente i nomi degli indici di bilancio, tutti denominati in inglese, ROI (Return On Investment), ROE (Return On Equity), ROS (Return On Sales), Leverage, EBITDA, Debt Service Coverage Ratio, etc.
In banca, negli istituti finanziari ma anche nelle imprese per circa un decennio è circolato il termine N.P.L. (non performing loans, crediti deteriorati o prestiti non performanti), crediti delle banche (mutui, finanziamenti, prestiti) che i debitori non riescono più a ripagare regolarmente. Spinti dalle Istituzioni Pubbliche gli Istituti di credito hanno ceduto gli NPL sul mercato per migliorare i bilanci e nel contempo hanno dovuto adottare misure più stringenti nell’erogare credito.
L’aumento dei Non Performing Loans (NPL), avvenuto durante lo scorso decennio, ha portato le Istituzioni a richiedere alle banche di gestire in modo proattivo questi crediti, spingendole a migliorare i processi di gestione e monitoraggio ed a sviluppare procedure di supporto dedicate;
Nei mesi a venire le banche saranno chiamate a gestire gli effetti della crisi sulla qualità del credito in modo proattivo con efficacia e presidi organizzativi adeguati, al fine di identificare tempestivamente i debitori in difficoltà ed evitare, al contempo, un’accumulazione eccessiva di posizioni deteriorate, anche per scongiurare effetti prociclici sull’offerta di credito.
La gestione degli NPL diversi dalle sofferenze, quasi interamente rappresentati da inadempienze probabili (IP), apre nuove sfide per le banche, ed eccoci di fronte ad un nuovo termine di cui sentiremo parlare spesso nei prossimi anni: dall’accostamento delle parole Unlikely To Pay, in italiano “improbabile che paghi”, deriva l’acronimo UTP con il quale si fa riferimento a crediti bancari che possono dar luogo a inadempienze probabili.
Nel corso degli ultimi anni il peso degli UTP è cresciuto notevolmente, questi crediti sono contraddistinti da modalità di gestione differenti da quelle delle sofferenze ed il loro mercato al momento non è ancora pienamente sviluppato.
I debitori classificati come “IP (UTP)” versano in situazioni di difficoltà economica e finanziaria giudicate, tuttavia, reversibili. A differenza delle sofferenze, grazie a piani di ristrutturazione ed al sostegno finanziario delle banche creditrici (o di altri soggetti) in grado di mantenere in vita le imprese affidate, le UTP possono tornare in bonis ed essere recuperate in toto o in misura consistente.
A differenza dei crediti NPL (in relazione ai quali l’attività si concentra massimamente nella gestione della riscossione) i crediti di UTP richiedono un particolare modello di business che coinvolge competenze diverse, non solo quindi figure preposte alla riscossione dei crediti in sofferenza ma, a questi, andranno affiancati professionisti chiamati ad assistere il creditore coadiuvando questo ultimo nell’individuazione delle attività da intraprendere per incidere sulla gestione dell’attività di impresa del debitore che, se correttamente indirizzata, potrebbe ritornare in bonis e quindi salvaguardare la riscossione del credito.
Mario Vacca