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Il giorno in cui l’Europa ha voltato le spalle alla libertà di stampa

“Quando la verità diventa un crimine, chi mente governa”.

Il 20 maggio 2025 potrebbe essere ricordato nei libri di storia non come un passo avanti verso la sicurezza europea, ma come un punto di rottura nella lunga marcia delle democrazie verso la trasparenza, la libertà e il rispetto dei diritti civili. Con l’adozione del 17° pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea – Regolamento di esecuzione (UE) 2025/933 – l’Europa ha tracciato un nuovo solco nella sua geografia morale: ha sancito che si può punire un’opinione come se fosse un crimine.

In un clima sempre più intriso di sospetti e strategie emergenziali, Bruxelles ha incluso per la prima volta blogger e giornalisti tra i destinatari delle misure sanzionatorie: Alina Lipp e Thomas Röper, entrambi giornalisti di lingua tedesca residenti in Russia, e Hüseyin Dogru, reporter turco residente in Turchia. Non spie, non agenti armati, non sabotatori. Giornalisti. La loro colpa? Aver narrato la guerra, e più in generale la geopolitica, da un’angolatura scomoda per le cancellerie occidentali.

Non c’è stato un processo. Non un’aula di tribunale. Non un avvocato, non una possibilità di difesa. Solo un atto amministrativo, firmato a Bruxelles, che silenzia voci sgradite.

Questa svolta autoritaria non può passare sotto silenzio. Perché non si tratta più solo di conflitto informativo o di propaganda: si tratta della legittimazione di una nuova forma di censura, mascherata da “protezione dell’informazione”.

Ci troviamo così di fronte a una distorsione orwelliana della democrazia, in cui i concetti di “libertà di stampa” e “pluralismo dell’informazione” vengono subordinati a un criterio nebuloso e arbitrario di “sicurezza narrativa”. Il dissenso diventa sospettoL’analisi alternativa, disinformazione. E l’informazione non allineata viene trattata come se fosse un’arma nemica.

Certo, la disinformazione esiste, e combatterla è un dovere. Ma quando la lotta alla disinformazione si traduce nella repressione del dissenso, non stiamo più difendendo la democrazia. La stiamo svuotando.

Dobbiamo allora porci una domanda cruciale: quale democrazia stiamo servendo, se sanzioniamo idee anziché crimini? Se puniamo racconti anziché atti?

Chi stabilisce oggi cosa è “vero” e cosa è “falso”? Un algoritmo della Commissione Ursula? Un funzionario politico? Una coalizione di Stati? La mancanza di un processo giuridico apre a derive inquietanti: chiunque, domani mattina o stasera stessa, potrebbe essere bollato come “filo-russo”, “filo-palestinese”, “filo-qualcosa”, solo per aver osato raccontare i nostri tempi attuali.

Il rischio non è più una possibilità remota: è una realtà che ci travolge. Siamo ormai dentro la prima fase concreta di una guerra deliberata contro la libertà d’informazione. Una guerra silenziosa, ma spietata. I carri armati non ci sono, ma ci sono liste di proscrizione. Le bombe non cadono dal cielo, ma sotto forma di sanzioni amministrative. I bersagli non indossano uniformi: sono giornalisti, blogger, cittadini che osano pensare fuori dal coro. E le vittime finali, quelle che ancora non se ne accorgono, siamo tutti noi.

Noi europei, narcotizzati da un’illusione di democrazia, stiamo diventando spettatori passivi della demolizione sistematica del pluralismo. Stiamo permettendo, un decreto alla volta, che il diritto a essere informati venga sostituito dal dovere di aderire. Che la critica venga ridotta a sospetto. Che la verità, anziché essere cercata, venga imposta.

È tempo di svegliarsi: non si tratta più di difendere un’opinione. Si tratta di difendere la possibilità stessa di averne una.

Si sta creando un “information divide” geopolitico che separa l’Europa non solo dalla Russia, ma anche da sé stessa, dalla sua identità di casa delle libertà. È un fossato morale che cresce, e che minaccia di isolare Bruxelles non solo dai suoi avversari, ma dai suoi stessi valori fondanti.

La vera domanda, allora, è: qual è oggi il confine tra sicurezza e libertà? E siamo sicuri che, imboccando questa strada, stiamo costruendo una società più forte e più giusta, o solo un’Europa più succube e controllata?

La storia ci insegna che le emergenze non giustificano la fine delle garanziema spesso sono il pretesto perfetto per scardinarle. È tempo che le società civili europee si sveglino, prima che la censura diventi la nuova normalità e la libertà, un ricordo.

Andrea Caldart

Link utili:

https://data.europa.eu/apps/eusanctionstracker/search/WyJuYXRpb25hbGl0eS9ERSJd

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32025R0965

https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2024/2642/oj/eng

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