Quello che dovrebbe essere il palcoscenico internazionale della musica italiana, la vetrina della cultura musicale del nostro Paese, è diventato invece il “circo magico” del politicamente corretto e del “buon pensare”.
Tra le scenografie di falli alati di Rosa Chemical e la simbologia manuale a forma di vagina di una certa Big Mama, meglio forse sarebbe stato non esportare tanto “sapere”.
Non è la musica l’ospite d’onore, ma il corollario da “bravi” di manzoniana memoria che, cavalcando l’onda, non quella cantata da Dargen D’Amico, propongono ancora una volta, il messaggio politico del momento.
Quei 10 milioni di irriducibili italiani su 60 che non possono proprio fare a meno dell’Ariston, bisogna trovare un modo per intrattenerli e non farli pensare ed ecco che, li facciamo travestire da papere per fare un bel trenino con il ballo del qua qua, in stile animazione turistica smunta di fine serata.
Infatti, i problemi veri del nostro Paese come la possibilità di replica, dopo l’oltraggiosa gag di Fiorello e Amadeus del 2022, deridendo migliaia di italiani colpiti da effetti avversi gravi dell’inoculazione obbligatoria, non è stata data dalla Rai e dal Comune di Sanremo.
Ma anche la giustizia che non vuole essere trovata sui decessi della bergamasca e di tanti altri che ogni giorno, la nuova malattia da “malore improvviso” colpisce sempre più frequentemente; no tutto questo non entra nello spettacolo.
La stessa richiesta d’archiviazione per Conte e Speranza è un segnale che c’è un vero timore di voler accertare la verità, per via delle possibili conseguenze pratiche che potrebbero derivarne.
Anche la protesta degli agricoltori smette di essere protesta con la mini-passeggiata a piazza San Giovanni di quattro trattori, e così si lascia spazio alla politica di casa nostra, di disegnare le regole per un’agricoltura ancora globalizzata.
Le luci del palco dell’Ariston cambiano continuamente e i “don Abbondio” della musica non hanno problemi a vestirsi di rosso che fa molto sinistra per gli ingenui, ma anche rosa fucsia a strisce arcobalenizzanti che fa molto tendenza tra i giovani fluidi, ma il colore più apprezzato è sempre quello, il verde dei soldi, per i più capaci.
Amadeus dopo 5 anni di festival è di sicuro quello più ben collaudato, affidabile per i piani alti della Rai, produttore di sé stesso quanto un karaoke in playback da villaggio turistico, adatto appunto per mettere in scena uno spettacolo musicale di “turno”.
Ma a Sanremo manca ancora una volta la musica, perché quel palco è stato trasformato in una fiction “de noantri”, dove le canzoni sono solo uno strumento manipolatore di messaggi politici, con l’aiuto di commentatori che, trasformano in un talkshow, quello che invece dovrebbe essere il giornalismo critico.
Una festa della banalità e dell’ipocrisia, un brutto spettacolo di volgarità con penose esibizioni di finti pacifisti in abito di peluche, che poi ritrattano 24 ore dopo l’appello per i bambini che muoiono sotto le bombe, femministe fuori tempo massimo e omosessuali esibizionisti veri o presunti.
E mentre il sistema si autocelebra per i record di ascolti, un intero Paese rimane imprigionato nell’ipnotica vetrina musicale attaccata al più turpe conformismo politico, disposto ad accettare qualsiasi compromesso, pur di non vedere turbata la sua tranquillità.
Sanremo si ama? Mah, pare più Sanremo “Si Ama-deus”.
Andrea Caldart