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Chi era Rosemery Kennedy?

Tutti conoscono la storia della famiglia Kennedy, pochi però rammentano il nome di Rosemery Kennedy, la scomoda sorella del ben più celebre John Fitzgerald Kennedy.

Durante l’infanzia, Rosemery visse separata dal resto della famiglia. La sua colpa? Era affetta da un ritardo cognitivo.

Per anni i Kennedy cercarono di nascondere i disturbi della figlia, negando la sua condizione agli occhi del mondo.

La sottoposero a vari, numerosi trattamenti alla ricerca della cura miracolosa che avesse il potere di “guarirla” o per lo meno di renderla più docile, più facilmente controllabile. 

Rosemery, infatti, era diventata una ragazza esuberante, fin troppo ingenua e anche bella in modo inopportuno.

Ciò destava preoccupazioni nella famiglia e soprattutto nel padre che si lamentava spesso del suo comportamento inappropriato e del suo ancora più inappropriato interesse per i ragazzi.

Risolutivo fu l’incontro con il dottor Watts, un medico che praticava una nuova, innovativa procedura: la lobotomia.

Lo psichiatra portoghese Antonio Egas Moniz ricevette il Premio Nobel per la Medicina per aver inventato questa “rivoluzionaria tecnica”.

E fino agli anni cinquanta la lobotomia era considerata un’utile pratica per tenere sotto controllo i pazienti affetti da patologie psichiche quali depressione e schizofrenia.

Tantissime le donne “isteriche e problematiche” che vennero condotte da mariti, padri, familiari, infastiditi dai loro sbalzi d’umore, a sottoporsi a questo trattamento.

Mal di testa ricorrenti, una certa aggressività verbale che alle volte non era altro che l’incapacità della donna di essere compiacente nei confronti del marito, erano motivi sufficienti per ottenere una diagnosi d’isteria e di follia. 

A venti tre anni Rosemary entró alla George Washington University, ansiosa di compiacere suo padre e di essere “curata”.

Le furono praticati due buchi in testa e poi le furono recise le terminazioni nervose.

Ciò che ne uscì, era un essere incapace di parlare, di camminare, che trascorreva ore a fissare il vuoto. La ragazza perse anche l’uso di un braccio e fu confinata su una sedia a rotelle.

Il buon nome dei Kennedy però era salvo; Rosemery, ridotta a un vegetale, non avrebbe più messo in imbarazzo la famiglia né sarebbe caduta preda di qualche avventuriero ansioso di mettere le mani sulle ricchezze dei Kennedy.

Alla fine, venne spedita in un istituto psichiatrico, né il padre né la madre vollero farle visita, e gli altri membri della famiglia si dimenticarono abbastanza in fretta della sua esistenza, ad eccezione della sorella Eunice che fondò in suo onore la Special Olympics Inc. per persone con disabilità intellettiva. 

La storia di Rosemery Kennedy per quanto tragica non è stata un caso isolato.

Candida Carrino ricostruisce nel suo saggio “Luride, agitate, criminali” un secolo d’internamento femminile con dinamiche non dissimili da quelle di Rosemery. 

Giorgio Antonucci, il fondatore dell’approccio non-psichiatrico alla sofferenza psichica, lavorò dal 1973 al 1996 nel manicomio di Imola, e ciò che vide, fu quello che all’epoca era considerata una prassi nei manicomi: pazienti incatenate ai loro letti, picchiate, private di qualunque contatto con il mondo esterno.

“Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se si ascoltassero, non capirebbero,” queste sono le parole di Primo Levi, parole che non sono poi tante diverse da quelle di Antonucci, quando tre decenni dopo descrisse un’altra forma di male, un’altra forma di annientamento.

“Dopo tanti anni di letto, le pazienti si facevano tutto addosso, non volevano vestirsi, non camminavano.

Non riuscivano neanche a mangiare, molte avevano i denti spezzati sia per via dell’elettroshock sia per l’uso dello scalpello quando si rifiutavano di aprire la bocca. Tutte le pazienti avevano i muscoli atrofizzati.”

La Storia è costellata del male che gli uomini, in nome di una legge ingiusta, di una qualche perversa ideologia, di una distorta concezione medica, hanno inflitto ai loro simili.

Prigionieri di guerra, carcerati, matti, deportati non fa alcuna differenza, la storia che si racconta in fondo è sempre la stessa, ed è una storia di dignità violate, di diritti negati, d’indifferenza.

I manicomi di una volta non esistono più, grazie alla legge Basaglia, ma è stata una vittoria di Pirro; Antonucci, nelle interviste che ha rilasciato negli ultimi anni della sua vita, ha dichiarato: “L’abolizione del manicomio è stata una truffa. Nonostante la Legge Basaglia, oggi la coercizione esiste ancora. Finché ci sarà il T.S.O (Trattamento Sanitario Obbligatorio), i manicomi esisteranno. Infatti il manicomio è il luogo dove vanno le persone senza la loro volontà”.

G. Middei

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

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