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Home Cultura e società L’inganno della “carriera alias”, Maria Rachele Ruiu: “E’ l’incarnazione del gender”

L’inganno della “carriera alias”, Maria Rachele Ruiu: “E’ l’incarnazione del gender”

In principio fu Torino, poi Napoli e Bologna. Poi progressivamente il fenomeno ideologico della carriera alias ha preso piede e si è allargato in tutta Italia, nell’intero campo educativo e formativo, a partire (orrore) dalle scuole primarie (accade a Manfredonia) per finire alle università.

Stando ai dati riportati dal sito universitrans, aggiornati al 2018, su 68 atenei pubblici, 32 offrono la possibilità agli studenti di iscriversi sfruttando lo strumento alias. 

Oggi molti studenti protestano, si stracciano le vesti, o semplicemente bigiano la scuola portando in alto la battaglia “alias”. 

Ma sanno effettivamente di cosa si parla?

Per capire l’inganno di uno strumento che rischia di minare psicologicamente la crescita dei giovani, basta aprire lo stesso sito di cui sopra, o se preferite l’enciclopedia Treccani, e leggere effettivamente di cosa stiamo parlando.

“La carriera alias – si legge sul sito universitrans – è un profilo burocratico alternativo e temporaneo, che sostituisce il nome anagrafico con quello adottato”.


Già da queste premesse si può notare come lo strumento porti effettivamente a modificare la realtà: “alternativo”, “temporaneo” e “sostituisce” sono parole chiare in questo senso. 

La realtà viene modificata per dare la possibilità, per un lasso di tempo definito, di scegliere qualcosa di diverso da quello che è effettivamente.

In altre parole, essere un qualcosa che non è, o che è accettato solo da un specifico gruppo di persone. 

Un grande filosofo del passato, Parmenide, ebbe a dire senza troppi giri di parole “L’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere”. Touchè.
Proseguiamo. 

Si legge ancora: “(La carriera alias ndr) comprende un badge e un indirizzo email con il nome adottato. 

È valido esclusivamente all’interno dell’ateneo, realizzato attraverso la stipula di un accordo confidenziale tra ateneo e studente/ssa, e non estendibile a documenti ufficiali, come l’attestato di laurea, l’iscrizione a tirocini, l’accesso a programmi Erasmus ecc”.


Dunque, apprendiamo che è valido esclusivamente all’interno dell’ateneo e non è estendibile a documenti ufficiali. 

Praticamente un escamotage, un trucco: nulla di ufficiale ma un provvedimento fumoso valido solo nell’istituto scolastico/università. 

Il tutto mentre i professori vanno in confusione, la burocrazia è costretta a muoversi tra doppi libretti e mail diverse, e gli studenti, anziché essere accompagnati nel loro percorso di sana crescita, vengono spinti ad ottenere anche ciò che non si potrebbe, educandoli non già alle porte strette quanto alle scorciatoie, alle autostrade, all’illegalità, all’inganno.

Maria Rachele Ruiu, counsellor laureata in scienze psicologiche, attivista prolife e nel direttivo di Pro Vita e Famiglia, va al cuore della questione: “La carriera alias altro non è che l’incarnazione del gender. 

Non solo: in un colpo solo viola i diritti degli studenti, del corpo docenti, del personale scolastico e delle famiglie che entrano in relazione con i richiedenti l’identità “alias”, contrasta con la normativa vigente ed è dannosa pergli stessi studenti che lo richiedono”.

Tralasciando l’orrore di casi sporadici comparsi anche all’interno di scuole elementari (bambini di non più di 10 anni), pensiamo solo alle difficoltà per gli adolescenti. 

Sottolinea la Ruiu: “E’ uno strumento che incoraggia i minori o i giovani adulti che non si trovano a loro agio con il proprio corpo a fondare le proprie relazioni sociali sulla base dell’identità di genere contrastante con il proprio sesso, rischiando di spingerli a intraprendere percorsi irreversibili e/o non privi di gravi problematiche per la salute psicofisica (abituale assunzione di ormoni, operazioni chirurgiche, ecc.), inutili, essendo acclarato che la disforia di genere nei minori, nella maggior parte dei casi (oltre il 90% dei maschi e l’85% delle femmine), si risolve spontaneamente con la maturità”.

Continua l’attivista Pro life: “Grave soprattutto perché è comprovato dalla letteratura che una volta intrapresa la transizione sociale (di cui la carriera alias è un aspetto non secondario), per un ragazzo o una ragazza fragile è difficilissimo tornare indietro (ci sono testimonianze che raccontano che le stesse associazioni che accolgono i ragazzi presunti disforici tendono ad accelerare l’avvio dei trattamenti ormonali una volta attuata la transizione sociale ma troppo spesso abbandonano chi a volesse interrompere i trattamenti suggeriti)”.

Compreso il devastante impatto di questa ideologia nei ragazzi, accenniamo anche alla questione docenti, costretti a giochi di prestigio per accontentare lo studente e per non essere etichettati dal primo giornale filopensierounico, capace di esporre questi eventuali martiri dei nostri giorni in campagne mediatiche diffamatorie e infamanti che portano financo ad avere reali difficoltà sul posto di lavoro.

Così mentre in Italia si fa orecchie da mercante, il dato di fatto di uno strumento ideologico potenzialmente devastante è sotto gli occhi di tutti. 

Paesi come la Svezia, l’Inghilterra, il Canada stanno tornando indietro rispetto all’accelerazione degli ultimi anni in tema di alias/gender: “I Paesi che lo hanno sperimentato – spiega la Ruiu – lo stanno abbandonando a causa dei numerosi ragazzi e ragazze che da adulti decidono di “tornare indietro” rispetto alla transizione, rimanendo però segnati da numerose ferite (fisiche e psicologiche), alcune delle quali indelebili. Migliaia di psichiatri, psicoterapeuti in Europa stanno firmando un appello internazionale che potete trovare sul sito https://www.observatoirepetitesirene.org/ per una informazione basata sui dati riguardo ai problemi legati a identità di genere e sesso tra i minori, visti i gravi danni riscontrati ovunque a causa di “transizioni” troppo frettolose”.

Non è uno scherzo. Si parla di corpi che hanno subito mastectomie, cure ormonali, condizionamenti psicofisici. 

Un’ideologia che, per contagio social anche, porta questi ragazzi a nascondere altre sofferenze dietro “disforie di genere”. 

Se ti avessero detto in adolescenza che la tua profonda sofferenza si sarebbe risolta cambiando sesso, cosa avresti fatto?

Soprattutto quando presentarsi così, ti attribuisce un valore tra i tuoi coetanei: gli stessi che mesi prima, magari, ti bullizzavano, improvvisamente plaudono al tuo coraggio. 

Un qualcosa dalla quale però sia fisicamente che psicologicamente è poi complicato uscirne senza ferite, alcune delle quali indelebili. La realtà è un’altra cosa.


Per non parlare delle implicazioni sociali: “Quale bagno – si interroga la Ruiu – sarà utilizzato dallo studente o dalla studentessa in regime di carriera alias? O ancora, in caso di uscita didattica, lo studente o la studentessa con chi sarà assegnato in stanza? L’introduzione di questo strumento, così come annunciato dai promotori, influenza la vita della scuola introducendo elementi di discussione (o peggio di propaganda ideologica o politica) che nulla hanno a che vedere con la missione educativa di nessuna scuola, anzi costringendo gli istituti che la introducessero ad ammettere la fondatezza di approcci ideologici, che nulla c’entrano con l’accoglienza e che auspichiamo sempre sia incondizionata e dovuta per ciascuno studente e ciascuna studentessa in assoluto, soprattutto quando vive un momento delicato”.

Che sia un approccio ideologico, quindi, è abbastanza evidente: per attivarla leggiamo sui regolamenti proposti che – ai fini del cambio del nome sui documenti interni alla scuola – lo studente non dovrebbe far pervenire alla scuola alcuna certificazione medica o psicologica sull’effettività della disforia di genere, né alcuna certificazione degli indicatori che rendono clinicamente certa la correttezza e la stabilità della diagnosi e, quindi, del relativo percorso di transizione; per quanto, a livello normativo, inoltre, non sia nemmeno legale (occorrono precise procedure per modificare i documenti d’identità) e addirittura si possa rientrare nel penale con il reato di “sostituzione della persona”. 

Per cui potenzialmente chiunque, anche per gioco, potrebbe avvalersi dello strumento.

Come diceva Karl Popper: “Vi sono mode in filosofia, così come ve ne sono nella scienza. Ma un autentico ricercatore di verità non seguirà le mode, diffiderà di esse e le saprà anche combattere, se necessario”.


Credo che sia proprio questo che potremmo chiedere ai giovani di oggi: quello che voi credete essere diritto o trasgressione, altro non è che il recinto delle mode e delle ideologie malsane cui il potere elitario e massonico vi rinchiude.

C’è un modo per essere davvero diversi, trasgressivi: seguire la Verità e trovare sé stessi in ciò che è il sentiero naturale che ci è stato donato. Potreste anche stupirvi, un giorno, di scoprire quello che siete veramente.

Gloria Callarelli

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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