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Ripensare Rosmini, un gigante del pensiero 

Antonio Rosmini (1797-1855), esponente di quella corrente filosofica che va sotto il nome di spiritualismo, è stato considerato, da una parte del pensiero filosofico contemporaneo, come un anti-tomista. 

Nulla di più sbagliato. Nel pensiero, infatti, del rovetano, non c’è un essere che passa attraverso la categoria della mente conoscente, ricadendo in una sorta di “cogito” cartesiano che presuppone il venir meno dell’identità di pensiero ed essere, ma un essere il quale si rivela in quella che, autorevolmente, il prof. Pagani definisce una condizione gnoseologica per cui la mente umana non produce l’essere iniziale, limitandosi solo ad esplicitarlo (la c.d. astrazione filosofica), riconoscendone la provenienza da Dio. L’essere esplicitato (in antitesi ad ogni forma di idealismo anche “larvata” o di un apriori kantiano per le ragioni che saranno in seguito espresse) significa esistenza e, se non fosse così, l’uomo non potrebbe conoscere nè Dio, nè gli enti, facendo venir meno in questo modo il presupposto dell’analogia di cui parla Tommaso (1225-1274). 

Ora, in piena corrispondenza con il pensiero dell’Aquinate, “Iddio rimane rispetto alla sua essenza totalmente diverso dalle creature” il che esclude il panteismo. Il panteismo ci sarebbe là dove l’inizio dello scibile venisse identificato non con una semplice esistenza, ma con una compiuta sussistenza in cui essenza ed esistenza coincidono. Per Rosmini se l’essere iniziale (esplicitato) è comune, senza contraddizione, all’assoluto e al finito, egli sottolinea al contempo, senza equivoci, l’assurditá del panteismo consistente nell’identificare in un reale finito l’istanziazione reale adeguata dell’idealità infinita dell’essere. Non c’è neppure alcun metodo sintetico (Mondin) tra essere ideale ed essere reale. 

È evidente come sia profondamente diversa l’impostazione e la sostanza del discorso rosminiano rispetto a quello kantiano. 

Infatti, la trascendentalità si risolve tutta nel conoscere il mondo e perciò esclude la trascendenza; invece, l’essere ideale oggettivo esplicitato dalla mente, principio metafisico, precede logicamente e cronologicamente qualunque atto di conoscenza che di esso è una determinazione e, inoltre, include la stessa trascendenza. 

L’idea trascende e rischiara di luce il reale, poiché è la verità prima e oggettiva e non nel senso della forma categorica di Kant la quale è funzione dell’intelletto unicamente nell’esperienza e non al di fuori di essa. Per questo la forma, come la intese il filosofo tedesco, non può mai trascendere il mondo. 

Nell’idealismo moderno, a causa dell’adeguazione tra razionale e reale (Hegel), l’idea è risolta nel concetto e l’attività conoscitiva dello spirito ha come orizzonte il mondo che riepiloga tutto il reale e l’essere: l’immanentismo assoluto, che identifica l’Essere con le determinazioni sensibili, è l’unico risultato possibile dello sviluppo razionale dello Spirito o Idea. Al contrario, la trascendenza rosminiana viene fuori quando l’idea dell’essere oggettivo (ideale) non viene confusa con la realtà, essendo innata, immutabile ed eterna, irriducibile alla realtà finita, mutevole, temporale e riconosciuta.

Rosmini recupera con ciò il valore oggettivo-metafisico dell’idea (in chiave platonica), verità del pensare e principio dell’attività intellettiva e morale, completamente perduto dalla filosofia contemporanea. Non trova perciò alcuna giustificazione l’accusa di ontologismo rivolta alla filosofia rosminiana, né di modernismo.

Prof Daniele Trabucco Costituzionalista

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