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Home Economia Re’ Artù lancia l’asta dei tassi e Lancillotto li fissa al chiodo

Re’ Artù lancia l’asta dei tassi e Lancillotto li fissa al chiodo

la tavola rotonda discute sui tassi di interesse

Nel mese di giugno 2023 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività ha registrato una variazione nulla su base mensile ed un incremento del 6,4% su base annua.

Una comunicazione derivata direttamente dall’Istat che evidenzia come l’incremento su base annua tra maggio e giugno sia sceso dal 7,6% del mese precedente a quanto scritto poc’anzi.

L’aumento dei tassi di interesse è imposto dalla necessità di lottare contro un tasso d’inflazione galoppante che in pochissimo tempo è salito a livelli allarmanti e ben oltre la soglia stabilita dallo Statuto della Comunità Europea.

Il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) comprende la BCE e le banche centrali nazionali di tutti gli Stati membri dell’UE. L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

Per raggiungere questo obiettivo il consiglio direttivo della BCE basa le sue decisioni su un quadro analitico integrato ed attua le misure convenzionali e non convenzionali di politica monetaria.

Il consiglio direttivo ha la facoltà di definire con precisione il proprio obiettivo di stabilità dei prezzi. Dal luglio 2021 per stabilità dei prezzi si intende un tasso d’inflazione del 2% nel medio periodo. L’obiettivo è simmetrico, il che significa che le deviazioni negative e positive da tale obiettivo sono considerate altrettanto indesiderabili. Ciò potrebbe comportare un periodo transitorio in cui l’inflazione è moderatamente al di sopra dell’obiettivo del 2%.

L’obiettivo del 2 per cento è stato scelto principalmente perché da un lato rappresenta un livello di inflazione che non comporta un costo troppo elevato per l’economia e i cittadini e dall’altro garantisce un adeguato margine di sicurezza contro il rischio di deflazione.

Secondo gli esperti, l’inflazione scenderà al 6,3% nel 2023. Nel corso dell’anno il tasso dovrebbe registrare una marcata riduzione, per poi collocarsi in media al 3,4% nel 2024 e al 2,3% nel 2025.

L’inflazione riduce il valore della moneta nel tempo portando alla registrazione di un rincaro che non si limita a singole voci di spesa. Questo significa che con un euro si possono acquistare oggi meno beni e servizi rispetto al passato.

Il balzo dell’inflazione 2022/2023 risente del lungo periodo di pandemia ed ha delle cause oggettive: la rapida apertura delle attività economiche a seguito dell’emergenza che ha fatto crescere la domanda più rapidamente dell’offerta e l’interruzione della catena di approvvigionamento industriale a livello globale, ma anche un aspetto psicologico che porta molti cittadini a spendere di più, risparmiare meno e, ad invertire le “classi” di priorità.

L’aumento dei tassi di interesse imposto dalla necessità di lottare contro l’inflazione si è trasformato in un incubo per molti debitori – aziende e privati – che hanno visto aumentare la rata del mutuo anche più del 50%.

In realtà non è ancora finita perché per favorire la diminuzione dell’inflazione ci saranno ulteriori aumenti dei tassi, per lo meno sino a settembre, dopo di che dovrebbero cominciare a scendere.

La stretta attuale pesa in particolar modo sui debitori ed ancor più su quelli che hanno in corso, magari da poco tempo, un mutuo a tasso variabile.

Il problema si pone però anche per coloro che il mutuo vorrebbero accenderlo nel breve. Anzi, in questo caso i problemi sono ancora più evidenti; poiché le banche generalmente applicano una regola non scritta che fissa al 30% delle entrate mensili del mutuatario la soglia massima della rata per la concessione del mutuo, un anno e mezzo fa un mutuo da 150 mila euro restituibile in 25 anni con un tasso all’1,10% e rata mensile di 572,00 euro sarebbe stato concesso a chi avrebbe vantato un’entrata di circa 1800 euro al mese.

Oggi invece, sarebbe necessario uno stipendio di almeno 2300 euro al mese.

Quindi non è un caso se il numero dei mutui erogati negli ultimi mesi sia in continua contrazione.

Dopo oltre 12 mesi di allarmi da parte di aziende, associazioni di categorie e privati cittadini soltanto in questi ultimi tempi si inizia ad intravedere un attivismo da parte degli istituti che iniziano a proporre il passaggio dal tasso variabile al tasso fisso ma, qualcosa non quadra….

L’impresa avveduta ed il debitore “seriale” sanno bene che il tasso fisso si chiede quanto i tassi sono bassi, ed il variabile lo si chiede quando sono alti – questi ultimi nel breve non potranno che tendere a diminuire. Eppure oggi le banche propongono come la panacea di tutti i mali, il passaggio dal variabile al fisso quando, entro massimo 12 mesi, la tendenza sarà completamente invertita.

Certamente – mettendo in conto di dover cambiare istituto attraverso una surroga entro i prossimi 12/15 mesi – si potrebbe aderire immediatamente al passaggio da variabile a fisso ed attenuare i rincari dei prossimi mesi ma, chi intravede di non poter cambiare banca per tanti motivi personali o comunque oggettivi, potrà sicuramente valutare di non effettuare il passaggio a maggior ragione se l’istituto è tra quelli che effettuano una sola variazione nell’arco di vita del mutuo.

Mario Vacca

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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