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L’evoluzione dei doveri degli amministratori alla luce delle nuove normative e delle recenti sentenze

Alla luce del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza e del novellato articolo 2086 secondo comma, e delle prime pronunce giurisprudenziali si rende necessario tentare di presentare un quadro riassuntivo delle norme comportamentali, che gli amministratori delle società di capitali devono conoscere per non incorrere in responsabilità, spesso sottovalutate.

Gli avvocati e gli addetti ai lavori, meglio di me, converranno che il contesto è complesso, e di difficile esposizione in poche righe, dal momento che deve considerare le norme codicistiche, il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (C.C.I.I.) e i precedenti giurisprudenziali.

Il precetto dell’art. 2086, secondo comma del codice civile è pressoché identico all’art. 3, commi due e tre, Codice della Crisi D’Impresa e dell’insolvenza  e, in apparenza, potrebbe sembrare frutto di un non attento coordinamento del Legislatore “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.” (così l’art. 2086 cod. civ.).

Il primo è contenuto tra le norme che riguardano l’imprenditore e la gestione dell’impresa; il secondo è contenuto nei principi generali del codice della crisi e riguarda una specifica finalità degli assetti organizzativi.

A ben vedere, rispondono ad esigenze differenti, ma tra loro coordinate e rappresentano una forte saldatura funzionale tra il diritto societario e concorsuale. 

Il primo attiene prettamente alla disciplina generale dell’impresa ed alla corretta gestione societaria ed imprenditoriale, la cui inosservanza è di per sé fonte di responsabilità, a prescindere dall’insorgenza della crisi e risponde all’esigenza di tutela di interessi generali e di terzi. Per altro, tale violazione è ancor più grave, quando la società non sia già in crisi, poiché essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia detti strumenti in pratica, gli Adeguati Assetti vanno implementati quanto l’azienda è in bonis.

Il secondo, collocato nei principi generali delle nuove norme in tema di crisi e insolvenza, ricorda la necessità di “aver costituito” adeguati assetti, ed è espressamente finalizzato a rilevare tempestivamente lo stato di crisi, per assumere le iniziative necessarie al superamento e al recupero della continuità.

Il terzo comma definisce quali debbano essere le caratteristiche di tali assetti, definendoli in funzione delle finalità.

Il messaggio del Legislatore è importante, forte e chiaro: non ci devono essere falle nell’ordinamento per mandare esenti da responsabilità gli amministratori inattivi o accondiscendenti, un concetto rafforzato dal fatto che impone agli amministratori di agire in modo informato, facendosi parti attive nel chiedere agli organi delegati le informazioni relative alla gestione della società

Ogni considerazione in tal senso ovviamente considera l’azienda in un’ottica di continuità.

Agli amministratori è riservato il dovere di predisporre gli assetti organizzativi e, ove ne ricorrano i presupposti, di dare tempestivo accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, informandone i soci.

È doveroso dunque esaminare le norme comportamentali a cui deve attenersi il diligente amministratore.

Primo, agire tempestivamente; secondo, agire in modo informato, chiedendo agli organi delegati le informazioni relative alla gestione della società. Gli organi delegati sono responsabili dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e devono riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale. La mancata informazione non esime da responsabilità gli amministratori senza deleghe.

Con specifico riguardo a questi ultimi, si evidenzia, spesso, il tentativo di giustificarsi con l’assenza di operatività gestoria e l’assenza di informazioni, ma ciò non è sufficiente per escludere la responsabilità.

Tutti gli amministratori devono attivarsi affinché il consiglio di amministrazione compia al meglio il proprio dovere di vigilanza, impedendo il compimento o il protrarsi di comportamenti illeciti. Il non conoscere non giustifica, laddove vi sia la possibilità di conoscere. “Conoscere” e “conoscibile” si equivalgono, proprio in conseguenza del dovere di agire informati.

Agli amministratori non operativi si chiede di ricercare informazioni adeguate e di andare oltre alle relazioni dei comitati anche perché la mancata partecipazione a determinate assemblee o riunioni del c.d.a., il mancato esame dei bilanci e della contabilità sociale, l’assenza di flussi informativi non costituiscono attenuanti, anzi tali inattività sono viste come manifesto disinteresse.

I poteri di iniziativa dell’amministratore sono diversi, dall’annotazione del dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni consiliari, all’allerta del presidente del collegio sindacale, spassando per l’impugnazione delle delibere consiliari.

Considerati gli interventi legislativi societari e concorsuali, si può quindi concludere, che la mancata adozione degli assetti organizzativi è fonte di responsabilità per gli amministratori, anche se privi di deleghe, per non essersi diligentemente attivati per la conservazione del patrimonio aziendale.

Fare uso della diligenza richiesta per conoscere condotte censurabili che siano facilmente conoscibili, è questo il principio ispiratore degli amministratori.

Mario Vacca

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

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