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Il “finto compost”

Nuova autorizzazione per la ditta di Giugliano in Campania

Tre nuovi impianti per il trattamento dei rifiuti saranno costruiti a Giugliano, in provincia di Napoli. La notizia arriva in un contesto già soggetto a forti pressioni ambientali (ed ecomafiose) e coinvolge una ditta, la Castaldo High Tech, con una certa fama sul territorio. La questione è tutt’altro che comunale e chiama in causa logiche e interessi che riguardano tutto il territorio nazionale.

Cosa prevede il discusso decreto dirigenziale

L’8 luglio 2021, senza che nessuno se ne accorgesse, la Regione Campania ha autorizzato la Castaldo High Tech a inserire nuove attività di recupero dei rifiuti e ad aumentare i quantitativi trattati o stoccati. Il decreto dirigenziale a firma di Antonio Raimondo, dirigente comunale, prevede la costruzione di: un impianto di compostaggio per recupero e smaltimento di rifiuti non pericolosi; un impianto di biomassa per la produzione di energia elettrica e di compost; il recupero termico in impianti di incenerimento dei rifiuti. Il decreto va ad integrare l’autorizzazione Aia (Autorizzazione di impatto ambientale) già in possesso della Castaldo High Tech per la gestione di un impianto di compostaggio nella zona Asi (Area di sviluppo industriale) di Giugliano. Non si tratta un impianto qualunque: è il più grande impianto di compostaggio in Campania, che tratta ben 121mila tonnellate di rifiuti urbani sui 170mila trattati in tutta la regione. Fatto costruire con decreto dirigenziale datato 23 giugno 2014 dall’allora presidente Stefano Caldoro, coinvolto nelle indagini della Procura di Napoli sulla nuova emergenza rifiuti.

La notizia di un ulteriore carico ambientale sul territorio di Giugliano ha provocato il malcontento dei cittadini e mobilitato diversi attivisti ambientali per tentare di fermare la costruzione dell’impianto, ormai arrivato alla fine dell’iter burocratico. Mentre il sindaco di Giugliano Nicola Pirozzi ha dichiarato, rendendo la vicenda interessante, di non aver espresso nessun parere positivo sulla nuova autorizzazione, nonostante questo risulti agli atti.

La particolare popolarità della Castaldo High Tech

Ma è un’altra ancora la faccenda che distingue quest’autorizzazione dalle altre. La popolarità della Castaldo High Tech non proviene solo dal suo ruolo capillare nella gestione dei rifiuti. Il suo impianto è più volte finito sotto ai riflettori come possibile causa dell’aria irrespirabile nel giuglianese. Non solo, a maggio è stata al centro di un’inchiesta di Bernardo Iovine, “Terra felix”, secondo la quale la ditta avrebbe fornito periodicamente quintali di compost non conforme agli agricoltori tra Acerra e Afragola (sempre nel Napoletano). Compost zeppo di rifiuti di ogni genere – plastiche, metalli, vetro e altro materiale non identificato – come già documentato nell’estate del 2019 dai droni dei volontari antiroghi di Acerra. Cattivo odore e coltivazioni a macchia di leopardo avevano fatto scattare l’allarme. Poi il sequestro da parte del Noe (Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri) di svariati pezzi di terreno, misteriosamente dissequestrati “con l’obbligo di smaltire il compost fuori specifica definito rifiuto speciale non pericoloso”. Di fatto legittimando i contadini a riprendere le coltivazioni, come se nulla fosse. Secondo la ricostruzione di “Report” (Rai3), i camion partivano dalla Castaldo High Tech e arrivavano ad Acerra e Afragola. Ben 363 tonnellate di compost gratuito (che altrimenti sarebbe costato almeno 15 euro a tonnellata) e tanti contadini grati ai benefattori della ditta, o costretti ad esserlo. La Castaldo non ha risposto direttamente a “Report” ma ha inviato un’e-mail specificando che non ci sono indagini in corso sull’azienda, mentre per la trasmissione Rai condotta da Sigfrido Ranucci le procure di Napoli e Nola starebbero facendo accertamenti sulla vicenda.

Restano molti punti interrogativi

I terreni filmati dai droni degli ambientalisti si trovano nelle zone di Masseria Calabricito e Lenza Schiavone (area nord di Acerra). Luoghi già interessati dal disastro ambientale provocato dai fratelli Giovanni, Cuono e Salvatore Pellini, proprietari di quattro aziende di smaltimento rifiuti e nel 2017 condannati a sette anni per sversamento illecito (il caso vuole tramite finto compost) nei terreni agricoli. Stessa zona, episodio simile. Storie che si intrecciano e che non possono fare altro che acuire i sospetti.

Concedere, addirittura ampliare, un’autorizzazione di impatto ambientale con questioni del genere ancora aperte è una scelta audace. Soprattutto quando in gioco c’è il benessere della popolazione e la salute pubblica. La giustizia deve fare il suo corso, come giusto che sia. Ma intanto, chi tutela i cittadini?

Il 6 ottobre, l’assessore regionale all’Ambiente Fulvio Bonavitacola, ha espresso l’intenzione (in autotutela) di revocare il Decreto dirigenziale regionale. Mentre il Sindaco di Giugliano ha imbastito il ricorso al Tar e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rimosso il Dirigente comunale, reo di non avergli dato alcuna comunicazione. Ci si chiede, tuttavia, come sarebbero andate le cose se qualche attivista non si fosse mobilitato e resta un mistero come degli atti pubblici possano passare inosservati per mesi. La pecora nera sarà pure un’eccezione, ma si muove pur sempre nel gregge.

Giorgia Scognamiglio

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

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