La Corte costituzionale, con sentenza n. 127/2022 (redattore prof. Augusto Barbera), ha rigettato la questione di costituzionalità, sollevata in via incidentale dal Tribunale Ordinario di Reggio Calabria, in relazione agli articoli 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 convertito, con modificazioni, nella legge formale n. 74/2020.
Si riteneva che le disposizioni normative sulla quarantena, disposta con provvedimento dell’autorità sanitaria per chi era risultato positivo al Sars-Cov2 con conseguente divieto di mobilità dalla propria abitazione e dimora fino alla guarigione o al ricovero in una struttura, fossero in contrasto con il diritto di libertà personale ex art. 13 della Costituzione vigente e non con l’art. 16 che tutela la libertà di circolazione (non utilizzato quale parametro). Pertanto, secondo il giudice di Reggio Calabria, il provvedimento della quarantena doveva essere adottato dall’autorità giudiziaria, o soggetto a convalida di quest’ultima (c.d. riserva di giurisdizione prevista nell’art. 13 del Testo costituzionale, ma non nell’art. 16).
Il giudice delle leggi, anche richiamando la sua pregressa giurisprudenza, conclude che «l’obbligo, per chi è sottoposto a quarantena per provvedimento dell’autorità sanitaria, in quanto risultato positivo al virus Covid-19, di non uscire dalla propria abitazione o dimora, non restringe la libertà personale, anzitutto perché esso non viene direttamente accompagnato da alcuna forma di coercizione fisica, né in fase iniziale, né durante la protrazione di esso per il corso della malattia.
Il destinatario del provvedimento è, infatti, senza dubbio obbligato ad osservare l’isolamento, a pena di incorrere nella sanzione penale, ma non vi è costretto ricorrendo ad una coercizione fisica, al punto che la normativa non prevede neppure alcuna forma di sorveglianza in grado di prevenire la violazione» (cfr. punto 4.1. del considerato in diritto della sentenza n. 127/2022).
Ora, al di là del macroscopico errore della Corte che confonde il virus con la malattia (la Covid-19 è la patologia causata dall’agente virale Sars-Cov2), siamo così sicuri che la libertà personale entri in gioco solo in presenza di una coercizione fisica?
Il c.d. «habeas corpus» (la disponibilità del proprio corpo) è certamente il nucleo irriducibile dell’art. 13 della Costituzione, come del resto riconosce lo stesso giudice costituzionale nella pronuncia in esame, ma non si esaurisce in esso. Infatti, e la cosa è stata autorevolmente rilevata, se si esamina con attenzione l’art. 5, comma 1, lett. e) della CEDU del 1950 (la Convenzione europea dei diritti umani), la quarantena rappresenta una vera e propria forma di detenzione.
Infatti, la condizione di chi non può allontanarsi dall’abitazione o dalla stanza di un albergo, che sia stato requisito allo scopo, non è poi molto dissimile da quella in cui si trova chi è agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare.
Una giurista Americana, P.J. Price, ha definito la quarantena «the most extreme use of government power over people who have committed no crime», cioè l’uso più estremo del potere politico su chi non ha commesso alcun reato.
All’obiezione del primato della Costituzione si deve replicare che la CEDU, nei giudizi davanti a Palazzo della Consulta, può svolgere una funzione integrativa del parametro costituzionale, costituendo uno strumento di ampliamento della tutela offerta dall’art. 13 della Costituzione sul piano interno (sent. n. 264/2012). In altri termini, abbiamo una Corte «sovranista» o «eurounitaria» a seconda delle questioni prospettate…
Daniele Trabucco – Costituzionalista