Uno dei temi attuali con il quale dobbiamo velocemente confrontarci è quello di chiederci fino a che punto vogliamo che la tecnologia controlli la nostra esistenza.
In realtà la vera domanda è quanto sia pericolosa la tecnologia del controllo che da due anni, si cerca di far passare poco a poco, sottotraccia, ma che in realtà è entrata prepotentemente da noi.
Anche il nostro presidente della Repubblica, si è scordato di tutelare le minoranze come gli impone la costituzione quando, milioni di italiani han cercato di difendersi da una tecnocrazia sovranazionale imposta con ricatti e violazioni dei diritti individuali costituzionali.
Senza quasi accorgercene, molte delle tecnologie usate per il “controllo” della pandemia derivano da tecnologie cinesi sperimentate e attuate per reprimere le minoranze come gli uiguri.
Un modello coercitivo e repressivo attraverso il controllo di dati biomedici di temperatura e non solo delle persone, ma più terrificante il controllo destrutturante della persona come è successo a Vera Zhou una studentessa in geografia dell’università di Washington che, dopo essere tornata per una breve vacanza in Cina nella comunità Uigura, è sta rinchiusa dallo stato, in una situazione surreale quale quella di essere stata considerata una precriminale.
Vera, appena cercava di muoversi, veniva identificata dalle telecamere dotate di sistemi di riconoscimento facciale e doveva sottostare a continui interrogatori e verifiche.
Vera è solo una delle tante vittime dell’evoluzione tecnologica cinese, perché in realtà sono 24 milioni gli uiguri deportati dal governo cinese e un milione di loro è in carcere quali precriminali, praticamente uno su 25.
Sono persone che non hanno commesso nessun crimine, ma secondo le teorie repressive del partito di Xi, potrebbero farlo.
Parliamo quindi di persone deportate, messe ai lavori forzati e ridotte in schiavitù attivando un meccanismo di riduzione in povertà con il trasferimento di manodopera da aree rurali, per diventare “automi” dell’industria manifatturiera.
Tutto questo ci sembra molto distante da noi perché pensiamo di vivere in una democrazia matura o meglio detta “full democracy”, ma invece l’Italia appartiene a quelle democrazie che si identificano con il nome di “Flawed democracies” ovvero democrazie imperfette.
Forse non lo consociamo, ma molte delle tecnologie introdotte durante la pandemia sono di concetto e costruzione cinese e, probabilmente è venuto il tempo di iniziare a preoccuparcene.
Pensiamo agli uiguri, alla povera Vera e simpatizziamo con loro perché la loro difesa deve essere anche la nostra, prima che la deriva delle democrazie occidentali diventino regimi e ci confinino come prigionieri all’interno di un recinto di sorveglianza.
Andrea Caldart
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