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Home Inchieste Reddito di cittadinanza? Dopo due anni finisce sul banco degli imputati

Reddito di cittadinanza? Dopo due anni finisce sul banco degli imputati

Nel 2018 il ministro Di Maio contava sulla prossima approvazione del Reddito di Cittadinanza per annunciare “l’abolizione della povertà”. Tre anni dopo l‘RdC è salito sul banco degli imputati sospinto dai sospetti generati da qualche “furbetto”, dalle accuse del presidente di Confindustria Carlo Bonomie ora è perfino minacciato nella sua esistenza dall’intenzione di Italia Viva, il partito di Matteo Renzi, di toglierlo di mezzo tramite raccolta firme e conseguente referendum.

Certo, l’idea di un sostegno al reddito di massimo 780 euro per le fasce di popolazione in difficoltà è quasi naturale che diventasse materia controversa, fonte di infinite contestazioni addirittura “morali”, prima che economiche. Contestazioni non necessariamente dettate da ragioni di “pseudo meritocrazia”, basti pensare all’accoglienza freddina riservata al provvedimento da parte dei sindacati.

Stando all’Inps l’RdC costa tra i 600 e i 700 milioni di euro al mese (633 nel marzo 2021, 700 in gennaio) per 12 miliardi e 947 milioni complessivi dall’aprile del 2019 al marzo dell’anno in corso. Dato che in Italia le casse dello Stato ci pensa a riempirle soprattutto chi riceve una busta paga e dato che, anche secondo l’ufficio studi della CGIA di Mestre, l’evasione fiscale si aggirava ancora nel 2018 intorno ai 110 miliardi di euro (109,8 per la precisione), è evidente che alla sopravvivenza dei più poveri in questo paese non ci pensano i più ricchi, bensì i lavoratori dipendenti.

Però, il 2020 è stato l’annus horribilis dell’economia mondiale e quella italiana non ha fatto eccezione. In quei mesi secondo il Centro Studi di Confindustria il Pil è sceso del 10 per cento e i consumi delle famiglie di oltre l’11. Quindi non è una domanda peregrina domandarsi: come avrebbero potuto sopravvivere milioni di cittadini senza i RdC?

I numeri e le ragioni del RdC

A far data dal 30 giugno scorso i percettori del RdC erano poco più di un milione e 800.000, ma ovviamente la dimensione delle persone interessate è molto più ampia perché riguarda i nuclei familiari ai quali queste persone appartengono. Considerando che i nuclei familiari coinvolti sono secondo l’Anpal 702.139, è facile pensare che il Reddito di Cittadinanza “sfami” più di 3 milioni di persone.

Se si pensa che in Italia ci sono circa 5,6 milioni di poveri assoluti per l’Istat, il numero di percettori del RdC pare addirittura sottodimensionato.

Peraltro, il numero dei beneficiari segue l’andamento economico e sociale del paese: ovvero cresce spostandosi lungo l’asse nord-sud. Nel sud e nelle isole infatti risiede oltre il 70 per cento di coloro che hanno sottoscritto il patto per il lavoro finalizzato all’ottenimento del sussidio il cui importo medio mensile nel 2021 ha raggiunto i 548 euro.

Inoltre, il profilo del beneficiario è marcatamente femminile e sempre più giovane: le donne costituiscono il 52,7%dei sottoscrittori di un patto per il lavoro, mentre gli under 29 sono quasi il 39% del totale e gli under 40 addirittura il 56%. Tutti dati che collimano con il crollo dell”occupazione, soprattutto precaria, avvenuto nei mesi del lockdown, quindi formata innanzitutto da donne e giovani.

Ma allora perché prendersela con uno strumento che si è rivelato un’efficace rete di protezione per i più deboli?

Renzi, Confindustria e i ristoratori contro il Reddito di Cittadinanza

Le ragioni del no al Reddito di Cittadinanza sono variegate. In prima linea ci sono i ristoratori, ultimamente molto combattivi e non sempre a ragione. I proprietari delle attività di accoglienza e ristorazione lamentano difficoltà a reperire camerieri, addetti alle pulizie e lavapiatti e se la prendono con l’RdC. Secondo loro, quei “fannulloni” dei percettori del sussidio se ne starebbero comodamente sul divano invece di “sudare” nei loro locali nella stagione cruciale dell’estate e del rilancio turistico.

Un’accusa sostenuta anche da Briatore per il quale l’RdC andava sospeso tra maggio e ottobre. Ma basta riflettere un po’ per smontare l’accusa: se l’importo medio del Reddito di Cittadinanza è di 548 euro quanto sono bassi gli stipendi del settore per non essere competitivi con il sussidio? Semmai la soluzione starebbe nel pagare meglio i propri dipendenti e non nell’abolizione del RdC…

Un’altra delle obiezioni rivolte al sussidio è quella di alimentare il lavoro in nero, peccato però che non sia fondata su alcun dato e, soprattutto, venga avanzata in un paese che ne era già piagato dal fenomeno prima dell’introduzione di questa misura di sostegno al reddito. Peraltro, questa indicazione è in contraddizione con la difficoltà a reperire personale segnalata ad esempio dai ristoratori: se fosse possibile la soluzione in nero non ci sarebbero lamentele.

Più fondata è la critica ripresa negli ultimi giorni dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi che dice di apprezzare il sussidio come strumento di lotta alla povertà, ma segnala la carenza della parte di politiche attive per il lavoro. Di qui la polemica di molti opinionisti contro i Centri per l’Impiego e i navigator che si dice siano strapagati per non far nulla, dimenticando però che sono contrattualizzati con contratti a progetto: il che farebbe anche sorridere se non fosse tragico che un disoccupato per trovare un lavoro debba affidarsi a un precario…

Sta di fatto che del 1.150.152 percettori del sussidio al 30 giugno 2021, tenuti a sottoscrivere il patto per il lavoro e quindi ad accettare le eventuali offerte di aziende interessate tramite i CpI, solo il 34,1%è stato preso in carico dal sistema: di certo non una splendida performance.

RdC, Agenzie per il lavoro e mancanza di una politica industriale

Per rendere più efficiente il sistema di reclutamento il governo starebbe pensando a un coinvolgimento delle agenzie per il lavoro (ApL), le ex agenzie interinali. Ma è del tutto opinabile che queste ultime rappresentino davvero una soluzione.

Innanzitutto, come ammesso anche da una recente indagine di una nota agenzia per il lavoro il miglior sistema per cercarsi un’occupazione in Italia è ancora il passaparola o meglio l’impiego della propria rete di conoscenze personali, ma poi le agenzie private hanno a loro volta la necessità di fare profitto e costituiscono un costo che dovrà sobbarcarsi lo Stato. Molto meglio quindi rendere davvero efficienti i CpI pubblici come accade anche all’estero, Francia in testa.

Ma soprattutto quello che manca per rendere efficaci le politiche attive per l’occupazione è la creazione di veri posti di lavoro: che si tratti di un CpI o di una ApL il reclutatore può fare ben poco in assenza di una domanda di lavoro e per crearla c’è bisogno di dotarsi di una politica industriale con tanto di investimenti pubblici che in Italia manca dagli anni ’60 del secolo scorso.

Al momento ci sarebbe da sfruttare l’occasione offerta dal Recovery Plan o PNRR, ma anche qui bisogna essere coscienti del fatto che implementare l’ingresso di nuove tecnologie come nel caso dell’auto elettricanel settore automotive potrebbe decurtare il bisogno di manodopera piuttosto che aumentarlo. C’è bisogno pertanto di una rete formativa e protettiva assai robusta per i lavoratori e di chi è in cerca di un’occupazione, altro che mettere sotto accusa il Reddito di Cittadinanza.

Stefano Paterna

Fuori dal Silenzio

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