Notizie recenti

| | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | | |
Home Economia Lavoro Sull’occupazione. L’analisi critica dei dati diffusi nei giorni scorsi

Sull’occupazione. L’analisi critica dei dati diffusi nei giorni scorsi

Smontiamo le bugie del Governo Meloni sull’occupazione: 

L’immagine diffusa da esponenti di Fratelli d’Italia (partito di maggioranza relativa), che attribuisce al Governo Meloni un presunto record occupazionale, con 24,3 milioni di occupati e un picco mai raggiunto dal 2004, si presta a una seria e rigorosa confutazione sul piano statistico ed economico. 

La narrazione sottesa a tale messaggio, apparentemente confortante, non tiene conto di numerosi elementi strutturali, qualitativi e interpretativi che ridimensionano notevolmente il dato, fino a renderlo, nei termini della comunicazione politica adottata, fuorviante e ideologicamente strumentale. 

In primo luogo, occorre chiarire il significato del dato stesso. L’indicatore a cui si fa riferimento è la stima grezza del numero complessivo di persone occupate in Italia, rilevata mensilmente dall’ISTAT secondo criteri armonizzati con Eurostat. Tale numero comprende indistintamente lavoratori a tempo pieno e parziale, contratti stabili e precari, lavoratori domestici, autonomi e parasubordinati. 

Non si tratta, quindi, di un indicatore della qualità del lavoro, né della stabilità contrattuale o del potere d’acquisto reale dei salari. 

L’aumento numerico degli occupati può, infatti, coesistere con un deterioramento delle condizioni materiali e giuridiche del lavoro ed è quanto in effetti avviene nel mercato occupazionale italiano. 

La cifra di 24,3 milioni di occupati, se confrontata con quella di anni precedenti, deve, inoltre, essere letta in rapporto alla crescita demografica, all’invecchiamento della popolazione, al tasso di partecipazione e soprattutto alla composizione per ore lavorate. Secondo dati ISTAT ed Eurostat aggiornati al primo trimestre 2025, il monte ore lavorate è ancora inferiore rispetto al 2008, anno che segnò l’ultima vera fase espansiva dell’economia italiana prima della grande recessione. Ciò significa che, pur con un numero più elevato di occupati in senso assoluto, la quantità di lavoro effettivamente prestato è ancora più bassa, a causa della diffusione di contratti part-time involontari e di lavori precari a basso contenuto professionale. 

Si stima, infatti, che oltre il 60% dei lavoratori part-time in Italia sia tale contro la propria volontà, a fronte di una media UE decisamente più bassa. Inoltre, il tasso di occupazione, ben distinto dal numero assoluto di occupati, continua a mostrare la fragilità del sistema italiano. Nel primo trimestre del 2025, il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni si attesta intorno al 66,5%, un valore che pone l’Italia agli ultimi posti nell’Unione europea, davanti solo alla Grecia. 

Questo dato è ancora lontano dall’obiettivo della strategia Europa 2020, che auspicava un tasso del 75%. La crescita degli occupati, dunque, è trainata da una lieve ripresa congiunturale e da fattori esogeni, come l’effetto statistico derivante dal calo della popolazione attiva e non da una riforma strutturale del mercato del lavoro voluta dal Governo in carica. 

In secondo luogo, va rilevato un altro aspetto fondamentale, ovvero la stagnazione dei salari reali, che in Italia restano pressoché invariati da oltre un decennio. Secondo il rapporto OCSE del 2024, l’Italia è l’unico Paese tra i maggiori dell’area euro in cui i salari reali, corretti per inflazione, sono scesi rispetto all’ anno solare 1990. In questo contesto, la crescita occupazionale non si traduce in un miglioramento del benessere materiale della popolazione, ma piuttosto in un allargamento delle fasce di lavoro povero (c.d. “working poor“). Il moltiplicarsi degli occupati non corrisponde, pertanto, a un accrescimento della giustizia sociale, bensì a un’espansione quantitativa di posizioni lavorative marginali, prive di tutela, con basse retribuzioni e discontinue. Sotto il profilo macroeconomico, l’apparente successo occupazionale deve essere ponderato rispetto alla produttività del lavoro, che in Italia resta stagnante.

Le imprese italiane, soprattutto piccole e medie, faticano a investire in innovazione e formazione e ciò si riflette in una crescita occupazionale estensiva ma non intensiva. In altri termini, si occupano più persone per produrre lo stesso valore aggiunto, con un’inefficienza sistemica che compromette la competitività complessiva del sistema. 

Il Governo Meloni non ha ancora adottato misure incisive in materia di politica industriale e di formazione professionale. 

Infine, sotto il profilo statistico, va chiarito che parlare di “record dal 2004” ha un valore retorico, ma non informativo. L’aumento della popolazione residente fino al 2014 e il progressivo invecchiamento della forza lavoro rendono tale confronto anacronistico. La vera comparazione andrebbe fatta in termini relativi, considerando il tasso di occupazione, il numero di ore lavorate pro-capite, il salario medio reale, e l’indice di qualità del lavoro. 

Tutti questi indicatori, alla luce dei dati ISTAT, INPS e OCSE, segnalano che il mercato del lavoro italiano soffre ancora di precarietà, segmentazione e bassa qualità occupazionale.

Prof. Daniele Trabucco – Costituzionalista

In collaborazione con: www.gazzettadellemilia.it

Fuori dal Silenzio

SatiQweb

dott. berardi domenico specialista in oculistica pubblicità

Condividi

Condivi questo Articolo!