Marco Cosentino, medico chirurgo, dottore di ricerca in Farmacologia e Tossicologia, professore ordinario di Farmacologia nella Scuola di Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi dell’Insubria. Direttore del Centro di ricerca in Farmacologia Medica, è autore di varie centinaia di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali indicizzate su temi di neuro- e immunofarmacologia di base e clinica, nonché di numerosi volumi e capitoli di libri. I principali ambiti di ricerca riguardano lo sviluppo di terapie innovative per malattie immuno-infiammatorie croniche quali la sclerosi multipla e la malattia di Parkinson, la farmacogenetica, la farmacotossicologia dei prodotti naturali, la farmacoepidemiologia e la farmacovigilanza.
Lo abbiamo intervistato per cercare di capire la natura effettiva e trappole linguistiche che hanno -anche volutamente- contribuito a insabbiare e strumentalizzare la questione “vaccini anticovid”. Sono emerse complicazioni ancora più perniciose e una questione ambientale stranamente trascurata dai media italiani.
VACCINI, SIERI GENICI O TERAPIA SPERIMENTALE?
Professore, lei è stato il primo a spiegare come i prodotti inoculati dalla campagna di vaccinazione massiva anticovid dal 2021 non siano vaccini ma profarmaci. Una dicitura non solo formale, ma una differenza abissale, che cambia le norme per i test sulla sicurezza di questi sieri.
C’è una normativa generale sui medicinali, comune a tutti i prodotti. All’interno di essa poi, le diverse tipologie di prodotti con le loro denominazioni fanno sì che il tipo di test di laboratorio e clinici per l’immissione in commercio sia specifico per ogni particolare prodotto. Dunque, tutti coloro che si dilettano a chiamarli “sieri genici” o “sperimentali” contribuiscono all’equivoco e alla confusione, perché qui il problema è identificarne la reale natura dal punto di vista regolatorio.
Questi specifici prodotti, ci riferiamo ai vaccini a mRNA, (e a DNA a vettore virale sia pure presto usciti di scena) si collocano in una “zona d’ombra” di questo quadro regolatorio. Io non ho nessuna difficoltà a definirli vaccini, perché in una certa misura, seppure parziale e per poco tempo e con noti limiti, una forma di immunizzazione la danno. Del resto chiamiamo vaccini anche i prodotti antitumorali che sono invece terapie geniche. Ma dal punto di vista regolatorio i vaccini antitumorali sono trattati come terapie geniche; mentre questi vaccini a mRNA sono trattati come vaccini, quando in realtà essi si basano su una piattaforma biotecnologica per le terapie geniche e contengono il codice genetico per codificare una proteina, la Spike, la quale è tutt’altro che un frammento virale inattivo come invece per ogni altro vaccino. La Spike inoculata è una proteina integrale nella sua struttura e per quanto ne sappiamo del tutto attiva e in grado di esercitare gli stessi effetti della Spike di derivazione virale.
Abbiamo quindi, nel caso dei vaccini anti-covid a mRNA, tre nature farmacologiche che convergono e cambiano a seconda di come guardiamo questo peculiare prodotto: vaccino per quanto riguarda il suo impiego, terapia genica per quanto riguarda la piattaforma biotecnologica sui cui è stato sviluppato, e farmaco dal punto di vista del contenuto, del principio attivo e prodotto proteico. Al confine tra queste tre diverse nature probabilmente la soluzione migliore dal punto di vista regolatorio e quindi dell’interesse della sicurezza pubblica, sarebbe stato definire una nuova e specifica griglia di valutazione inedita per prodotti altrettanto inediti. La scelta -se trattarli come farmaci convenzionali, terapie geniche o vaccini- che invece per cui si è optato è stata quella di trattarli come vaccini, poiché la strada dei vaccini è la più semplice e breve, ma estremamente parziale per quanto riguarda le valutazioni farmaco-tossicologiche precliniche e cliniche. I controlli sui vaccini tradizionali partono infatti dalla premessa che vi sia necessità di approfondimenti farmaco-tossicologici in quanto quei prodotti contengono sostanze inerti che si limitano a stimolare il sistema immunitario. Non è così per questi prodotti. Così ancora oggi continuiamo a utilizzare i vaccini covid a RNA senza sapere quali saranno i loro effetti nel bene e nel male: un vero e proprio atto di fede, e questo è il contrario di come procede la scienza.
Quindi la faccenda è ancora più complicata di quanto sembra anche a coloro che credono di aver identificato la natura di questi prodotti.
Nell’ultima intervista su Byoblu lei ha spiegato che i farmaci mRNA sintetizzano proteine inaspettate, un meccanismo chiamato “scivolamento”. Può dirci di più?
Questi prodotti contengono mRNA modificato in vari modi; tra i principali vi è l’accorgimento che è stato usato per stabilizzarlo, che implica aggiungere una sequenza di basi azotate (le singole componenti della catena che costituisce questo acido nucleico) le quali in natura non esistono, ma sono modificate in laboratorio. Per questa invenzione, tra l’altro, è stato assegnato il Nobel per la Fisiologia e la Medicina di quest’anno ai due ricercatori Katalin Karikò e Drew Weissman. Purtroppo, queste basi azotate particolari sono lette con una certa difficoltà dal nostro apparato cellulare che lavora a trasformare l’RNA in proteina. Ciò significa che con una determinata frequenza non trascurabile (una volta su tre o 4 circa), la lettura della sequenza di RNA non è fedele e avviene quello che viene chiamato scivolamento ribosomiale: la “macchina” che legge l’RNA scivola di una base azotata. Tale scivolamento è cruciale perché la produzione dell’RNA in proteina si basa su una corrispondenza, e se la corrispondenza non viene letta a gruppi di tre ma ne viene saltata una, si continua comunque di tre in tre, ma slittata di una componente della base azotata. È come leggere la tabellina del tre ma con un salto. Non è più la tabellina del tre, ed è difficile se non impossibile prevedere sul piano biologico e funzionale cosa questo possa causare. In questo studio, in un gruppo di 21 persone vaccinate con il prodotto Pfizer queste proteine aberranti si sono dimostrate capaci di stimolare il sistema immunitario in circa un caso su quattro. Questo potrebbe non avere alcun effetto, ma potrebbe anche sollecitare risposte autoimmuni o risposte oncogeniche. Non lo sappiamo, ma certamente dovrebbe essere una priorità per il mondo intero studiare queste eventualità niente affatto remote.
NON UNA FIALA!
E invece niente da fare. Di recente ha scritto sul suo canale Telegram: “In UE al macero 215 milioni di dosi di vaccini covid. Ma non una fiala a ricercatori senza conflitti di interessi che ne volessero studiare composizione e effetti. Non una fiala! Anche una sola fiala, no!”
Io posso ammettere che in buona fede, per fare in fretta in una fase emergenziale, si siano voluti immettere in commercio prodotti parzialmente controllati, ma che oggi non si possa avere accesso ad esaminarli, questo è inaccettabile dal punto di vista scientifico ed etico. La maniera più semplice e trasparente per rimediare a tutto ciò che non è stato fatto in passato sarebbe permetterne il loro studio, da un punto di vista della composizione e soprattutto degli effetti. È assurdo e grottesco che programmi di ricerca pubblici in tale direzione non siano ancora stati avviati da nessuna nazione.
C’è poi l’aspetto che concerne lo smaltimento di questo numero massiccio di dosi. E’ stata una brillante collega a farmelo notare: sarebbe interessante sapere dove e come questa enorme quantità di prodotti biotecnologici verrà smaltita. Contengono RNA stabilizzati per essere più resistenti alla degradazione e inoltre da mesi è emersa la contaminazione con DNA plasmidici. In letteratura ci sono documenti che mostrano come anche colture batteriche utilizzate per produrre proteine terapeutiche, con i correnti metodi di smaltimento, non degradano completamente gli acidi nucleici modificati. Un potenziale impatto ambientale con delle incognite importanti. Questa attenzione vale per i farmaci convenzionali, figuriamoci per questa immane operazione di smaltimento!
Eppure la nostra classe dirigente e mediatica è sempre così sensibile all’armonia degli ecosistemi. A essere sospettosi verrebbe quasi da pensare che in questo caso sia preferibile tacere sulla faccenda.
C’è ragione di preoccuparsi anche per la continua immissione in natura di OGM, come i diffusissimi cereali e pomodoro o le zanzare sterili. Bisognerebbe interferire il meno possibile con la natura. E invece ci si preoccupa paranoicamente della controversa CO2 e si dedica sempre meno attenzione all’inquinamento ambientale, vera piaga dei nostri tempi. La vera prevenzione non si fa con gli screening che al massimo servono alla diagnosi precoce, bensì riducendo l’esposizione ai fattori di rischio, tra i quali quelli ambientali, chimici, fisici e biologici hanno un peso enorme.
UNA QUESTIONE AMBIENTALE IGNORATA
Diciamo che con uno sversamento massiccio di questo materiale i “no vax” potrebbero non esistere più… a proposito, pensa che sia un atteggiamento utile alla causa quello di polarizzarsi tra sì vax e no vax? C’è ancora molta aggressività da parte di entrambe le posizioni e intanto il potere si gongola…
È un atteggiamento utile al sistema, su questo non c’è dubbio, perché l’estremizzazione conflittuale delle discussioni neutralizza a monte la possibilità di approfondire qualsiasi tema. Nelle fila dei no vax rientra chiunque abbia sollevato dubbi argomentati su questi vaccini, perfino chi ha ricevuto più di una dose. Oggi sono critiche anche tutte quelle persone che lo hanno fatto -costrette o spontaneamente- e ora soffrono gravi e drammatici effetti avversi. Cittadini abbandonati se non ridicolizzati dalla narrazione mediatica e da una certa politica. A non curarsi di loro sono gli stessi che però sono andati a cercarli casa per casa perché effettuassero la somministrazione.
Le persone danneggiate dai vaccini anticovid possono ritenersi quasi “fortunate” se hanno patologie facilmente inquadrabili come miocardite o pericardite, le quali hanno percorsi di presa in carico e cura chiari. Lo stesso non può dirsi per neuropatie e patologie neurologiche, distonie vegetative di vario tipo. Questi pazienti rimbalzano da un medico all’altro senza sapere che tipo di percorso intraprendere. Persone spesso sole, impossibilitate a lavorare, a cui talora anche amici e parenti nemmeno parlano più. Dove sarebbe la scienza in tutto questo?
Giulia Bertotto